Infinite Jest – Recensione (Prima parte del Viaggio)

… La faccia del tizio ha fatto un rumore sfrigolante quando ha colpito il marciapiede. Tipo il bacon che frigge. È ancora steso là, lo vedo dalla finestra. Non si muove più. Tutti lo evitano, gli girano intorno per passare. Sembra troppo bollente per toccarlo. Un ragazzino ispanico è scappato col suo cappello. L’avete già avuta la neve voi? …
Autore: David Foster Wallace
Pagine: 1296
Anno: 2016 (versione originale del 1996)
Casa Editrice: Einaudi
Disponibilità: Libro Cartaceo e Versione Digitale
Dove acquistarlo: Einaudi

David Foster Wallace (DFW) è uno degli autori postmoderni più discussi della letteratura statunitense, tra i maggiori esponenti dell’Avantpop, sottogenere del postmodernismo che io adoro, più per altri autori a essere sincero, come Douglas Coupland e John L. Lansdale. Ho scoperto DFW grazie al suo La ragazza con i capelli strani (Girl with Curious Hair), raccolta di racconti che mi ha folgorato, straordinaria, l’innovazione letteraria che stavo cercando. Iniziai subito dopo Infinite Jest, con un entusiasmo che non avevo dai tempi dei primi libri di Bukowski letti a diciott’anni, e lì la mia passione appena nata per DFW s’inceppò. Non riuscivo a concentrarmi nella lettura e dopo uno sforzo enorme per raggiungere le prime 600 pagine, lo mollai incredulo per quello che stavo leggendo, infastidito soprattutto per quel tomo che portavo con me sull’autobus, pesante e inutile, perchè non riusciva a prendermi. Dopo averlo mollato, ancora fiducioso che DFW potesse essere quell’autore straordinario che cercavo, ci riprovai con Brevi interviste con uomini schifosi (Brief Interviews with Hideous Men), ma niente, l’esperienza con Infinite Jest mi aveva segnato. Abbandonai definitivamente il mondo di DFW, per il momento.

Qualcosa dentro di me m’impediva di credere che un libro così controverso mi stesse lasciando indifferente. Dovevo riprovarci. Complici altri due blog di letteratura che seguo, Il verbo leggere e Telegraph Avenue, dove trovai due intriganti recensioni a Infinite Jest, ho deciso di riprovarci con l’opera più importante di DFW. Io qui vi parlerò della mia esperienza, perchè chi decide di parlare di questo libro non scrive una recensione ma vive, appunto, un’esperienza, e si cimenta a raccontare un viaggio mentale. Il mio viaggio si divide in due percorsi intrapresi in parallelo: il primo con le valigie piene di entusiasmo e ammirazione per DFW, il secondo con un borsone logoro pieno di rabbia. Oggi, in questa prima parte del post, parlo di entusiasmo e ammirazione, e lascio la rabbia per la seconda parte. Per scoprire la trama della storia e altre esperienze v’invito a leggere le due recensioni appena citate, entrambe belle e pungenti, e in più direi divertente la prima e accurata la seconda.

Infinite Jest è un libro unico, non mi ha ricordato nulla tra la mie letture passate. Non è un romanzo che crea nella mente di un lettore paragoni con forme e temi già vissuti. È un mondo che comprende uno stile di scrittura mai visto, almeno per me. Monologhi volutamente prolissi senza punteggiatura, descrizioni enciclopediche, momenti di pura ironia alternati ad altri violenti e molesti, note che invece di aiutare a capire confondono, aggettivi obsoleti. La storia viene raccontata attraverso gli occhi di sballati, psicopatici, gente apparentemente normale ma che non lo è, ex drogati dalle menti ancora condizionate da sostanze stupefacenti, guardiani di confini dispotici, tutti incrociati in una vicenda incredibile che racconta quel mondo introdotto all’inizio di questo paragrafo. Un mondo lucido e cinico che noi esseri in carne e ossa, lettori di DFW e non, potremmo vivere realmente da un giorno all’altro. Questo libro sta al lettore come il crack al drogato, se piace ha l’effetto collaterale di annichilire. La metafora del crack la riprenderò nella seconda parte del viaggio, quella piena di rabbia.

L’incredibilità di questa storia non consiste solo nello stile, ma anche nei contenuti che comprendono, tra altre cose: scarafaggi tropicali volanti di origine Latina che si nutrono del muco degli occhi dei lattanti; un suicida che si fa spappolare la testa dentro un microonde il cui funerale non può essere celebrato per colpa di un’iperflorazione anulare; sacchetti dell’immondizia che si autocombustionano in piogge di spazzatura; ladri di cuori, nel vero senso della parola; e droga, tanta, eroina, cocaina, sostanze stupefacenti inesistenti e altre, forse, esistenti ma rare. Tutto in un romanzo che a tratti mi ha irritato, tanto, ma che dietro quest’elenco di follie strutturali e contenuti bislacchi offre, a parte lo stile irripetibile, una serie di critiche sociali ma soprattutto avvertimenti che DFW lancia a noi lettori dietro quelle pagine enciclopediche intervallate da paranoie, come Orwell fece, in modo più chiaro, con 1984. La descrizione delle critiche sociali fanno parte del viaggio con le valigie piene di entusiasmo e ammirazione.

Mette alla berlina il sistema universitario americano, su tutto. Dal punto di vista didattico e della ricerca, eccellente ma con una trafila burocratica per entrarvi assurda, a tratti ridicola. Un sistema che provoca uno stress esasperante nelle menti flebili di studenti che se non vi entrano rischiano di impazzire. Un sistema che genera o geni, o sportivi superdotati, o depressi che nei peggiori dei casi si possono trasformare in serial killer, schizofrenici, drogati o alcolizzati, per sfogare le proprie frustrazioni. In Infinite Jest i disgraziati che non diventano un Qualcuno ben integrato nel Sistema, prendono, tra l’altro, droghe inventate, forse, da DFW ma ispirate da schifezze che esistono realmente. L’autore critica quindi l’obbligo morale dei giovani che devono cercare per forza un talento che molto probabilmente non hanno. Giovani che non possono solo vivere e improvvisare, “accontendandosi” delle proprie abilità per sopravvivere, perchè vengono costretti alla ricerca disperata di una capacità che li renda unici. DFW a questo incrocia il nonnismo e il bullismo, la sanità pubblica inesistente e una politica obsoleta. Senza nessuna banalità.

Infinite Jest è anche una satira amara delle dipendenze dell’essere umano. DFW usa sempre la droga come metafora, ma gli stupefacenti del libro rappresentano anche l’alcool, il sesso, il gioco, tutto ciò che annulla la personilità di chi non riesce a vivere senza la propria dipendenza. Racconta le paranoie di gente che impazzisce per colpa del proprio vizio.

Era un suono che non era familiare e all’inizio pensavo che avevo fatto cadere il portafoglio nel cesso, lo credevo davvero. Pensavo che avevo buttato il portafoglio nel cesso, lo giuro su Dio. Allora mi piego tra le ginocchia e il buco nel profondo del cesso, e non posso credere ai miei occhi. Allora, amici, abbasso la testa tra le ginocchia e c’era un tronco nel buco. Un tronco meraviglioso, davvero. Era così bello per me che non so come fare a dirlo. C’era uno stronzo nel cesso. Un tronco di stronzo. Era cacato bene e preciso e tutto unito. Era dentro il cesso tutto intero invece di una spruzzata.

Si diverte con il lettore usando giochi di parole tradotti magistralmente anche nella versione italiana, il canadese John Wayne per esempio parla con i ragazzi in fila indiana. Usa l’omaggio a Jackson Pollock per rendere omaggio anche a se stesso. DFW in questo libro ha infatti creato un’opera letteraria astratta, che va interpretata, sfida il lettore che deve estrapolare i messaggi dalla sua libertà di pensiero. Si presenta quindi come un’artista vero, lui che sapeva di essere un grande e lo diceva nelle sue opere. In Infinite Jest strizza persino l’occhio a Virginia Woolf che si suicidò un secolo prima (DFW l’ha fatto nel 2008), con un omaggio sottile. Sarà stato un messaggio che voleva annunciare? Nessuno lo potrà mai sapere. Forse quell’omaggio è stato una mia incorretta interpretazione dell’astrattismo di DFW, perchè leggerlo è anche questo, sforzarsi di scovare messaggi che forse l’autore non ha mai pensato di trasmettere.

Gli avvertimenti orwelliani sono stati in bilico tra i due viaggi, vicini a quello con le valigie piene di entusiasmo e ammirazione, questo, per quasi tutto il tempo, ma alla fine hanno virato verso quello con il borsone logoro pieno di rabbia, il prossimo. Ne parlerò quindi nella seconda parte di questa recensione controversa e forse complicata da seguire. Ma da un’analisi di Infinite Jest non ci si può aspettare altro.

10 commenti

  1. Prima di tutto, ti devo fare i complimenti: sì, si può solo parlare di quello che questo libro-mondo ci lascia addosso, ma tu sei anche riuscito a catturarne l’essenza e a riportarla qui sul tuo blog. Per non parlare di alcune tue osservazioni illuminanti come quella sui college americani.
    Non è un libro facile, ma il fatto che siamo qui a parlarne (con gioia, rabbia, confusione) dimostra quanto sia importante.
    Ora aspetto la seconda parte e sono pronta ad offrirti il mio supporto emotivo XD.
    P.S. Grazie per la citazione.

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  2. “La ragazza con i capelli strani”, è stato folgorante anche per me, letto dopo “Questa è l’acqua”.
    A Infinite Jest non ci sono ancora approdata. Lo farò, per capirne il “fenomeno”, se così si può dire.
    Sei proprio bravo nelle tue recensioni.

    Ora vado a leggermi il seguito.
    m.

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