…Ci si sposa, si mette su famiglia e finisce tutto, non esiste l’idea di una svagatezza giovanile protratta all’infinito ma il precipizio di una precoce, cupa maturità. Le porte della vita, quando si chiudono, si chiudono per sempre…
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Autore: Antonio Franchini Anno: 2024 Pagine: 224 Casa Editrice: Marsilio Editore Disponibilità: Versione cartacea e digitale Dove acquistarlo: Marsilio |
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Uno tra i diecimila romanzi di stile autobiografico che si pubblicano oggi, per non annoiare, dovrebbe offrire qualcosa che gli altri non hanno. Tra queste cose io considero la qualità della scrittura, l’originalità di quello che si racconta nell’autobiografia, l’abilità dell’autore a intrattenere il lettore. Questo romanzo rispecchia più o meno tutti questi punti fino a quando non mi sono annoiato, a poco più di metà libro. Al centro dell’autobiografia c’è un odio, anzi, l’autore usa e giustifica il verbo detestare, più che odiare, verso una madre (!), raccontato con un’ironia che ironia non dovrebbe essere, vista la tematica, ma che mi ha comunque intrattenuto e divertito. E il libro è scritto veramente bene. Non a caso è stato finalista al Premio Campiello 2024 (si è classificato secondo).
Altro punto a favore: un romanzo che ha contribuito a farmi rivalutare il concetto di club di lettura, che fino a un paio d’anni fa evitavo con la stessa passione con cui evito i libri di Fabio Volo. Il modo di parlare dell’io narrante è genuino. Non si tratta di una cronaca asciutta dei fatti, ma trasmette un’inquietudine reale nel descrivere la famiglia, in un linguaggio reso più autentico da un uso calibrato del dialetto napoletano, che qui funziona bene come colonna sonora emotiva più che come semplice colore locale. Poi, purtroppo, viene il momento in cui ci si annoia.
Un po’ pesante lo stile: un flusso continuo di parole, ogni tanto interrotto da semplici interruzioni di riga, ma senza capitoli. Un po’ come in Lessico famigliare, con la differenza che lì la Ginzburg aveva una sintesi chirurgica, ma anche lì ogni tanto si sente il bisogno urgente di una pausa. Qui però il problema è aggravato da un certo compiacimento nell’accumulo, altro difetto classico del genere: l’accumulo di aneddoti o riflessioni che non divertono e non aggiungono nulla. Come la partecipazione a un reality show di un amico di famiglia e del padre, episodio descritto in modo prolisso, poco interessante e, francamente, evitabile. Si ha l’impressione che un romanzo, per essere “serio”, debba anche essere lungo: non è vero, caro Antonio, con 50 pagine in meno avresti scritto un gran romanzo. Ce ne sono altri di episodi inutili, ma non li elenco per evitare di rendere anche questa recensione inutilmente lunga (e quindi coerente con il libro, ma non è questo che voglio ottenere).
Lettura comunque accettabile, grazie alla figura della madre, che resta il vero motore narrativo. Certo, qualche nota per tradurre intere pagine in napoletano avrebbe aiutato anche noi lettori non madrelingua. Tuttavia, l’opera raggiunge un risultato notevole nel finale: la prosa si fa elegante, racconta arte e costumi di una Napoli affascinante, rappresentata da una donna intelligente, poco umile e decisamente sgradevole: un personaggio memorabile.


Grazie!
Buongiorno🌈
(anche io, diciamo, non amo Fabio Volo)
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Grazie a te 🙂
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Ho letto il libro, sono arrivata in fondo: ne avevo sentito parlare un gran bene e in effetti è un ottimo libro ma non il capolavoro che si poteva credere; mi piace lo stile affabulatorio di Franchini e comunque lui è un grande professionista, che la lingua italiana la sa usare. Ma soprattutto mi sono divertita alla presentazione, durante la quale ha imperversato, un po’ in italiano, un po’ in napoletano, simpatico, spiritoso… un gran personaggio!
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Concordo su tutto quello che dici, sul libro e sull’autore. Non l’ho mai sentito parlare, lo cercheró, anche perché non sei la prima persona che mi parla bene dei suoi interventi.
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