7 libri di autori statunitensi IX

Oggi segnalo altri sette libri di autori statunitensi di cui ho parlato sul mio profilo Instagram, @mia_nonna_fuma.

In questo post un inno alla pace di cui apprezzo l’idea, ma che mi ha annoiato per lo stile; un’autrice elegante che leggo volentieri ma che spesso mi convince a metà; il ritorno della mia autrice americana preferita, oggi con uno dei suoi migliori romanzi, per me, letti finora; un autore che è una garanzia d’intrattenimento, per storie e stile; un libro che ho iniziato poco convinto ma che non mi ha lasciato indifferente; un autore distopico di cui apprezzo le idee ma non lo stile che spesso mi confonde.

Il Comma 22 di Heller obbliga un gruppo di aviatori statunitensi a una missione in Italia durante la seconda guerra mondiale con l’illusione di un congedo che non arriva mai. Il libro è un inno alla pace fatto di situazioni grottesche che ridicolizzano il sistema militare statunitense.
Il problema è che questo romanzo ha nel curriculum la fama di satira pungente che fa sbellicare dalle risa, e io non ho riso mai. Anzi mi sono annoiato parecchio. Sì, il messaggio è bellissimo, la guerra fa schifo, vogliamoci bene, ma io questo libro lo boccio per il tedio che non mi ha lasciato per tutta la lettura.
Ha ancora senso voler dimostrare che un’opera d’arte riesce a riscuotere più successo se creata da un uomo? Secondo Siri sì, e ce lo racconta in modo alternativo e provocatorio, come le opere d’arte della protagonista. Il romanzo è difatti un mosaico di interviste, pezzi di diario, dichiarazioni di familiari, sedute da psicologi, e che a tratti beffeggia il politicamente corretto (come la capisco!).
Siri è sempre elegante, anche quando provoca, e in quest’opera mi ha convinto dopo la mezza delusione di Quello che ho amato.
JCO trasmette l’orrore del nazismo senza essere patetica, parla dell’immigrazione verso il sogno americano che diventa un incubo, tratta la violenza sulle donne -quella più scioccante. Poi dà l’illusione di una svolta romantica degna di un cartone Disney, con tanto di musica classica di sottofondo, smontata da una corrispondenza epistolare che spezza il cuore.
Tutto in un libro lunghissimo che non annoia mai e che non vorresti mai finire per l’eleganza con cui è scritto. Chapeau.
Il Javier Bardem dei fratelli Coen è uno di quei personaggi che, dopo averti inquietato, si insinua nella tua mente e non ti abbandona più. Un personaggio così disturbante non poteva che nascere dalla penna di un maestro dell’inquietudine: Cormac McCarthy. Con il suo stile diretto e asciutto, McCarthy costruisce dialoghi sintetici ma incredibilmente incisivi, capaci di scolpirsi nella memoria. I suoi personaggi sono carichi di un’energia oscura e le sue storie si snodano con una tensione costante che avvolge il lettore dall’inizio alla fine. Brevi nella durata, le sue opere lasciano un’impressione duratura, generando un’angoscia che ti accompagna ben oltre la lettura.
Sinceramente queste storie di emigrati che narrano quanto siano miserabili le loro vite nei Paesi d’origine rispetto a ciò che offrono gli States con il loro sogno americano fittizio mi hanno un po’ stancato. Però devo ammettere che questo libro funziona.
La relazione della protagonista con la madre, affetta dal morbo di Alzheimer, è devastante (e l’inizio è davvero geniale). L’autrice riesce persino a strappare qualche sorriso nonostante il dramma raccontato. Consigliato.
Credo che Kent Haruf riuscirebbe a commuovere persino raccontando l’epopea di una patata smarrita tra carote e cavoli, descritti con un’empatia che ci farebbe sentire in colpa ogni volta che apriamo il frigorifero.
Detto questo, immaginate cosa può fare se invece di ortaggi ci mette un malato terminale, una bambina orfana sola e triste e un prete anglicano detestato dalla propria famiglia. Che è quello che fa in questo meraviglioso romanzo. Da leggere.
Un esempio di trama geniale: negli anni ’80 il mondo va a rotoli per colpa di guerre, epidemie, carestie e altri disastri, e un piccolo gruppo di superstiti, gli unici ancora fertili, si rifugia nelle Galápagos con l’obiettivo di ripopolare la Terra. La selezione naturale porta alla scomparsa dell’intelligenza umana, considerata responsabile della quasi estinzione, e favorisce l’evoluzione di una nuova specie con cervello ridotto e tratti da anfibi. Tutto bello, ma…
Lo stile di Vonnegut mi annoia: spezza la narrazione in continui salti temporali e faccio fatica a seguire il filo. Il caro Kurt fa sempre così, e per questo resta un autore che mi convince solo a metà.

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