… Temo di trovarmi vuoto di fronte a lui, senza ragioni che giudichi degne di opporsi alle sue, pura cassa di risonanza degli insulti che sta gridando, delle bestemmie. Temo, di conseguenza, che mi costringa ad ammettere che ha il diritto sacrosanto di uccidere mia madre. …
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Autore: Domenico Starnone Pagine: 389 Anno: Edizione del 2017 Casa Editrice: Feltrinelli; 5 edizione Disponibilità: Libro Cartaceo e Versione Digitale Dove acquistarlo: Amazon |
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Via Gemito, Premio Strega del 2001, è la storia di Federì, artista e ferroviere vissuto tra la seconda guerra mondiale e il dopoguerra fascista raccontata dal figlio Mimì, mentre va alla ricerca del quadro più famoso del padre, I bevitori, in un on the road napoletano che mi ha ricordato i viaggi d’arte dei romanzi di Bolaño. Un cammino coinvolgente e nostalgico, ricco di ricordi, che ha per sfondo una malinconica Napoli, con la sua bellezza e le sue contraddizioni. Dopo Lacci ho scoperto un altro libro elegiaco di Starnone, ma questa volta più interessante e ammaliante anche grazie alla tenerezza di Mimì.
Federì è un padre bugiardo, spesso rissoso e sempre arrabbiato, frustrato per non riuscire a vivere d’arte, perché le sue opere sono incomprese e sottovalutate. Le conseguenze della sua frustrazione vengono pagate dalla famiglia, su tutti la moglie Rusinè che subisce la violenza del marito sventurato, e Mimì, terrorizzato dal carattere difficile del padre. Mimì ricostruisce la storia della sua famiglia usando i propri ricordi di quando era bambino, insieme agli aneddoti raccontati dal padre, che rendono la narrazione a tratti inverosimile a causa delle continue menzogne di Federì. Leggendo il libro ho pensato a Big Fish, film per me bellissimo di Tim Burton del 2003, in cui un padre racconta storie fantastiche sulla propria vita al figlio, deludendolo, innervosendelo per le bugie. Nel film le fandonie creano una storia magnifica e piacevole, mentre nel libro le menzogne generano un racconto triste. Ho anche pensato ai film di Totò e i De Filippo, sensazione normale sfogliando le pagine di un romanzo così bello ambientato nella Napoli di quegli anni. Ma quel pensiero è nato solo per la magia della città campana e non per il protagonista del romanzo. Perché Federì è un’anima egoista e violenta, e ha poco a che vedere con i ricordi affascinanti dell’arte napoletana e la magia dei film di Tim Burton. Una curiosa via di mezzo tra il mondo fantastico del regista americano e quello realistico partenopeo, in cui vive un individuo cattivo e sgradevole, creato da un autore straordinario che riesce ad alternare con maestria l’ironia alla nostalgia.
Nel romanzo la guerra si alterna all’arte, la tristezza alla magia, le vite dei soldati a quelle delle ballerine e degli attori. La pittura e il teatro, l’arte come capacità di agire e di produrre, e quella di arrangiarsi per sfamare la famiglia, sono i temi principali del libro in cui il dramma si alterna all’allegria. Federì a volte riesce a strappare un sorriso, ma provoca una profonda tristezza quando umilia moglie e figli. La causa è quella frustrazione dell’artista incompreso costretto a guadagnarsi da vivere lavorando come ferroviere, un’attività tipica di un disgraziato qualunque. Come ho introdotto, la vita di Federì viene raccontata con rabbia dal figlio Mimì, che viveva terrorizzato dalla figura del padre che non comprendeva, un uomo piccolo, poco umano, tuttavia artista di talento, presuntuoso quando millantava la sua creatività e capacità visuale, ma anima senza valori, un individuo pessimo sia come padre che come marito.
Leggendo ho vissuto anche momenti di ilarità, tanti -nonostante la guerra e gli atroci massacri persino di ragazzini-, per esempio quando Federì usa il suo linguaggio volgare in modo energico e irriverente. Gran parte delle cose del mondo, appena finivano sulla bocca di mio padre, diventavano proprietà privata del cazzo, che non solo lui citava volentieri ma indicava anche energicamente con le palme che convergevano a mo’ di freccia segnaletica verso i calzoni e la sede dei genitali.
L’alternanza di allegria e dramma profondo è tipico di Starnone; infatti nelle sue opere si passa spesso dal sorriso alla tristezza. Mimì osserva i quadri di Federì e ricorda con nostalgia la sua genesi, la propria infanzia, il dramma di quando il padre picchiava la madre e aveva voglia di ucciderlo. A volte provava quasi repulsione nei suoi confronti, per esempio quando si comportava pateticamente da padre. Lo trovava volgare quando gli parlava di donne, sesso, o gli insegnava come comportarsi da vero uomo. Un esempio molesto da non seguire con una vita abbellita dalla sua arte, una bellezza solo apparente che nascondeva un uomo meschino e sventurato. Le frasi di Mimì sono dure, sentenze che non perdonano un padre insulso che rese antipatica persino una cosa bella come l’arte.
Federì, in quegli anni ancor più che negli anni precedenti, vedeva la moglie come una delle più grandi rotture di cazzo che il padreterno gli avesse assegnato. Non riusciva a trovare il tempo di dedicarsi a quadri suoi, era sopraffatto dalle vedute di Parigi e dal lavoro nelle ferrovie.
Che recensione interessante! Il riferimento ai film la rende ancor più tangibile
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Grazie!
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che dirti la tua recensione è ottima! ho letto il libro e hai fatto bene a ricordare Big Fish, ci sono in effetti molte attinenze!! bravo
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Grazie! Un Big Fish napoletano, anche se alla fine preferisco l’opera di Starnone 🙂
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beh è direi più vicina anche al mio pensare sì
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[…] corregionale Carmine Abate del 2012 di cui ho recensito anche il bellissimo La moto di Scanderbeg; Via Gemito di Domenico Starnone finalista del 2001; Senza coda di Marco Missiroli vincitore come opera prima […]
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