La scurrilità che squalifica da IoScrittore

Mi piace partecipare di tanto in tanto al celebre torneo letterario IoScrittore perché dà la possibilità di ricevere dei commenti da altri autori che vi partecipano, che a volte possono aiutare a migliorare l’opera. Passare il primo turno e arrivare alla fase finale sarebbe un onore, ma considerando che a questo torneo partecipano migliaia di autori, ricevere quei feedback risulta sempre il mio obiettivo principale. Quest’anno non ho potuto accedere alle sospirate valutazioni per uno strano motivo mai spiegato nel regolamento: la mia opera è stata squalificata per un linguaggio volgare e scurrile, e per questo non ho avuto il diritto a leggere i commenti ricevuti. Da questa esperienza è maturata una mia riflessione che vorrei condividire oggi sul mio blog.

Parto dal punto principale senza fronzoli e introduzioni diplomatiche: credo che ormai ci stiamo scandalizzando troppo facilmente. Il motivo ha radici che vanno oltre la letteratura, è legato alla rabbia, peraltro giustificata, di qualsiasi individuo normale verso razzismo, misoginia, omofobia, xenofobia o bullismo. Ma oggi io mi chiedo: ha veramente senso censurare un’opera per un commento razzista, sessista o omofobico? Ultimamente ho letto allibito articoli che definiscono Philip Roth un misogino, Charles Bukowski un pervertito, e che blaterano che il principe di Biancaneve ha commesso un abuso sessuale per aver baciato una donna incosciente. I personaggi sono misogini, pervertiti, volgari o scurrili per il loro ruolo, e non è detto che lo siano anche i loro creatori (o almeno nella maggioranza dei casi). Un tizio razzista parla come un razzista, un sessista comunica con un linguaggio che irrita tutti, femministi/e e non, un degenerato deve scandalizzare. Tra l’altro mi chiedo: perché c’è chi dice che Bukowski era un depravato ma nessuno definisce Stephen King uno psicopatico o Bret Easton Ellis un serial killer sadico e pervertito per quello che scrivono? Su Biancaneve non dico nulla, credo non ce ne sia bisogno.

Detto questo, io non mi paragonerei neppure alle unghie di Roth o Bukowski, ma sarei curioso di conoscere il parere dei lettori del mio blog sulla presunta scurrilità del mio testo che copio qui sotto e che potrebbe offendere qualcuno (anche se non saprei esattamente chi). Si tratta di un passo che andrebbe letto in un complesso più ampio dove la scurrilità del personaggio è mirata, ma basta per rendere l’idea su come la mia volgarità ha fatto più danni del principe di Biancaneve.

Era venerdì, uscimmo dal lavoro alle 17 e andammo a bere un paio di pinte in un pub che puzzava di pipì. Alle 18 ci recammo a cenare in un ristorante cinese dove si poteva mangiare tutto quello che si desiderava per quindici sterline. La gente era tutta elegante. I buffet a prezzo fisso non mi erano mai piaciuti. Di solito in quei tipi di ristoranti la qualità del cibo è scarsa. Non fu il caso di quel posto, visto che la qualità del cibo fu pessima. La maggior parte di quegli alimenti era di un colore strano che variava dal rosa al marrone fosforescente. Non distinguevo le verdure dalle carni. Quando riuscii a capire quali fossero le verdure, poiché separate dal resto del cibo, non comprendevo la differenza tra broccoli, funghi o cavolfiori, perché erano tutti ricoperti di salse. Le carni invece potevano essere di maiale, di pollo, di agnello, o di qualsiasi altro animale ricoperto di salsa barbecue. I pesci non sembravano pesci, e si trovavano così vicino ai dolci da poter essere dei pezzi di torta con degli occhi di cioccolato.
Il mio amico mi consigliò di non mangiare molto in modo da notare subito l’effetto dell’alcool. Io gli chiesi perché fossimo andati a cenare in un buffet dal prezzo fisso se voleva ubriacarsi rapidamente. Lui non mi rispose e si limitò a ridere mentre teneva appoggiata la mano unta di una salsa fucsia sulla mia spalla. Dopo quella cena orrenda andammo in un altro pub a vedere la partita del Liverpool con una squadra dalla casacca blu e di cui non me ne fregava nulla. Anche nel pub la gente era tutta elegante. Bevemmo circa cinque pinte a testa, chieste tutte da lui. Ordinava la nuova quando io avevo ancora mezzo bicchiere pieno. Non ricordo come finì la partita. Dopo andammo in una discoteca dove erano ancora tutti eleganti.
Quando entrammo nel locale erano circa le dieci di sera. Puzzava già di sudore, il pavimento era appiccicoso, e la musica assordante. Erano dei pezzi pop poco orecchiabili di qualche gruppo di teenager magari belli ma con delle voci di merda. Gli uomini avevano tutti una pinta di birra in mano, mentre le donne, tutte in minigonna, bevevano dei cocktail dagli stessi colori del cibo del ristorante cinese. Dopo circa dieci minuti in cui iniziavo a notare l’approssimarsi di un mal di testa, un tizio si avvicinò e mi abbracciò senza motivo. Era ubriaco e forse mi aveva scambiato per un altro. Quando riuscii a togliermelo di dosso si avvicinò un altro tizio che mi rovesciò la birra addosso. Nel frattempo il mio amico stava baciando una ragazza che gli apparve di fronte, all’improvviso, piuttosto prosperosa, con le scarpe in una mano e un cocktail azzurro nell’altra.
Mentre cercavo di adattarmi a quella situazione bislacca che non avevo mai vissuto prima, una signora cicciottella mi ficcò con forza la sua lingua ghiacciata in bocca. Era bassina e saltò per potermela infilare tra le labbra; saltò così in alto e con una tale potenza da ficcarmela quasi in gola. Si teneva stretta al mio collo, mi fece anche male. Puzzava di tabacco e avrà avuto sessant’anni. Quando mi lasciò, mi fissò per qualche secondo ridendo di gusto. Notai che le mancava qualche dente. All’improvviso il sorriso che ricopriva quella faccia rugosa si trasformò in spavento. Mi abbassò con forza per schivare un bicchiere di vetro che sorvolò la mia testa incredula. Rimanemmo in quella discoteca per circa tre ore. Il mio amico si divertì tantissimo, lo notavo soprattutto quando lo vedevo passare contento la lingua da una bocca all’altra. Io invece rischiai di ritrovarmi in un paio di risse perché me ne stavo fermo, bloccando il passaggio di vari energumeni ubriachi che mi urlavano in un inglese incomprensibile e con aliti che puzzavano di alcool e tabacco. In quella discoteca mi spaccarono quasi la faccia ed ebbi voglia di piangere.
Quando il mio amico si annoiò, uscimmo dalla discoteca per tornare a casa. Lui aveva una signora alta e prosperosa attaccata addosso, senza scarpe e con lo sguardo di una che stava per vivere un coma etilico. All’uscita della discoteca tanta di quella gente elegante vomitava per strada. Le donne se ne andavano in giro quasi nude a due gradi. Camminavano scalze su quelle strade fredde e piene di vomito. Si spostavano in gruppo e impaurite, visto che era pieno di energumeni ubriachi che le rincorrevano sputando a terra e urlando frasi incomprensibili. Vedevo persone sconvolte muoversi senza una meta. Gente che vagava come zombi cercando di evitare le macchine dei taxi che venivano fermate con urla disperate da ragazze che volevano scappare a casa ubriache fradicie, prima di essere rapite da uno di quegli invasati in calore. Ma i taxi non erano i soli mezzi di trasporto che vidi. Tra quella massa di zombi, infatti, mi passarono davanti anche varie ambulanze e auto della polizia. Ero confuso, avevo paura, mi sentivo come se stessi camminando su un campo di battaglia pieno di vittime seviziate da mine antiuomo. Volevo andarmene a casa.
Ma purtroppo il mio amico, che continuava a portare con sé la signora ubriaca come un borsone, mi propose di andare a mangiare qualcosa prima di tornare a casa. Io avevo lo stomaco chiuso con una serratura d’acciaio a doppia mandata e non avrei potuto ingerire nulla. Tuttavia accettai l’invito perché volevo allontanarmi al più presto possibile dal campo di battaglia. Ci recammo in uno dei tanti fast food che vendono cibo spazzatura per gente ubriaca durante tutta la notte. Ci sedemmo a un tavolo e il mio amico mi lasciò con la signora ormai svenuta su una sedia, mentre andò a ordinare qualcosa da mangiare. Accanto a noi c’erano quattro ragazzi che ingurgitavano dei kebab dalla carne grigiastra ricoperti da una salsa marrone, mentre ruttavano e ridevano. Uno di loro dormiva con la testa appoggiata su un piatto pieno di patatine fritte. Il mio amico tornò con una pizza piena di pezzi di pollo e ananas ricoperti di maionese. «Non fare complimenti.» Mi disse.

Io non risposi, il mio sguardò bastò per capire che era il momento di andare a casa. Finì subito la pizza, prese la donna svenuta, se la buttò addosso e m’indicò un essere sorridente grande quanto un armadio, con delle tette enormi e un culo che traboccava dalla sedia minuscola del nostro tavolo come un blob, che si era materializzato all’improvviso accanto a me con l’intenzione di rimorchiarmi. Mi disse di avere dell’erba buona a casa e io desideravo sballarmi per dimenticare la serataccia appena trascorsa. Il mio amico andò via con la signora addosso a cercare un taxi e mi lasciò con l’essere che aveva bisogno di alimentarsi prima di andar via. Dopo aver ingurgitato un kebab di color marrone biscotto accompagnato da patatine di plastica fritte, cercammo un taxi anche noi per recarci a casa sua.
Viveva in una via buia e piena di spazzatura in un quartiere dal nome impronunciabile. Una volta usciti dal taxi, capii di aver trovato una via piena di spacciatori se mai ne avessi avuto bisogno. Entrammo in casa, mi lasciò su un divano di pelle unta su cui riuscii a sedermi a fatica senza scivolare, e si recò a prendere delle birre. Ne bevemmo cinque a testa e fumammo qualche canna; l’essere aveva conseguito il suo obiettivo: rendermi incosciente per farsi sbattere, e io ci cascai. Non ricordo in che momento andai con l’essere nella sua camera da letto dove me lo scopai da dietro. Mentre mi muovevo, iniziai a notare l’effetto devastante di tutta la birra che bevvi quella notte. Insieme alle canne provocò la fuoriuscita di un flusso di vomito violaceo che ricoprì la schiena molliccia dell’essere. Non se ne accorse. Dopo aver vomitato me ne andai schifato senza dire nulla, senza neppure lavarmi, lasciando l’essere immobile sul suo letto lercio. Per strada mi muovevo a fatica ancora sotto effetto dello sballo provocato da alcool e canne. Mi vomitai su una scarpa. Cercai un taxi che mi accompagnò a casa. Il tassista mi fissò disgustato per tutto il tragitto. Non aveva tutti i torti visto che puzzavo di cibo marcio. Mi provocarono tutti un profondo ribrezzo che mi accompagnò durante l’intera serata, anche nella casa dell’essere e persino nel taxi. Quella notte mi feci schifo anch’io.

25 commenti

  1. Ciao! Parere di lettrice che non ama leggere testi troppo scurrili (anche se capisce quando è fatto a fini dell’opera): questo pezzo è tranquillissimo! Sono sconvolta dalla qualifica. In romanzi che sono riconosciuti parte della letteratura mondiale si legge lo stesso, se non anche di peggio.
    Mi dispiace molto.

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  2. Ecco il mio parere di persona che trova estremamente fastidiosa la scurrilità. Questo testo non rientra di certo nel mio genere, ma ho letto descrizioni molto più esplicite e fastidiose (per me). Mi viene il dubbio che forse non sia questa la parte che ha “scandalizzato”. Comunque sono dell’idea che per scrivere testi provocanti e fuori dal politically correct ci voglia una grande maestria consolidata, altrimenti si rischia di essere fraintesi, oggi più che mai.

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  3. Ma ti ha squalificato lo staff di Ioscrittore o sono stati dei lettori che si sono scandalizzati? Anch’io ho partecipato al torneo, alle prime edizioni, e spesso sono stata criticata perché c’erano delle parolacce…

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  4. Io non ho trovato parole scurrile nel testo. Le situazioni che descrivi sono molto forti ed al limite del torbido. Secondo me avendobusato un registro molto cronacistico, credo che tu abbia spiazzato alcuni seguaci invasati della nuova religione del politicamente corretto. Le puntualizzazioni di Marisa ed Evaporata secondo me sono molto pertinenti e degli ottimi consigli che condivido. Buona serata. Fritz.

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  5. La squalifica è assurda. Il personaggio è ubriaco fradicio, e vive una serata infernale. Dovrebbe esprimersi come Barbara Cartland? È verosimile?

    Per una volta che c’era qualcosa di diverso dei soliti romanzetti sdolcinati. Avresti dovuto protestare: nell’estratto io non vedo nessun eccesso nell’uso di parole volgari. Quanto alla parola “essere”: dov’è finita la libertà di espressione? Il protagonista (ubriaco e disgustato) doveva chiamarla “gentile signora”, “bellissima creatura”, “donna stupenda”, per non urtare la sensibilità dei lettori? È grottesco.

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