Tratto da Burundanga, anno 2042 – Burundanga
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Era ormai mattino inoltrato, ma ciononostante i raggi del sole erano ancora sufficientemente lievi da mantenerci nascosti agli occhi spenti degli zombi. Passarono a debita distanza e non si accorsero della nostra presenza, lontani tanto da farci stare tranquilli, ma a una distanza che ci permetteva di intravedere i loro corpi sporchi trascinarsi per quel sentiero e sentire perfettamente i loro lamenti. Non sopportavo più quei fastidiosi gemiti che emettevano mentre si muovevano con le teste piegate e le bocche semiaperte da cui fuoriuscivano pezzi di carne putrida. Erano tanti, forse cento o magari cinquecento, il numero ormai non era importante, non avevamo nessuna voglia di affrontarli, volevamo solo che quell’orrendo spettacolo finisse al più presto possibile per poter riprendere il cammino verso la nostra nuova comunità. I minuti trascorrevano e quella squallida processione proseguiva il proprio cammino emettendo quegli insopportabili lamenti. Quei rumori erano dannatamente molesti tanto da farmi concentrare a ignorali. Mi concentrai così tanto da riuscire a sostituirli nella mia mente con della musica che iniziò a suonare nella mia testa mentre vedevo quei corpi immondi muoversi. Era una musica piacevole e profonda, era come se stessero suonando un concerto nella mia mente, realistico come la voce, che in quel momento aveva abbandonato il mio cervello lasciandomi solo con quegli angoscianti gemiti.
Quei corpi che sembravano senza vita mi passavano davanti lentamente, ignorandomi, mentre iniziai a sentire il suono di una chitarra; era prima un assolo e dopo pochi secondi fu accompagnato da un’altra chitarra, un basso e una batteria. Quell’introduzione musicale durò circa trenta secondi durante i quali continuavo a vedere quei corpi in lento movimento accompagnati da quelle piacevoli note. Era un’introduzione malinconica che mi ricordava un vecchio pezzo post punk d’inizio anni ’80, ma che poteva essere anche una canzone più recente di un gruppo indie d’inizio duemila, magari di uno di quelli che piaceva tanto a mio padre. I corpi continuavano a muoversi e all’improvviso, dopo quei circa trenta secondi, il terrore si trasformò in melanconia. Quei corpi deformi che si trascinavano senza una meta precisa, forse solo per cercare qualche povera anima di cui cibarsi, iniziarono a provocarmi una forte tristezza, proprio quando iniziai a sentire nella mia testa la voce del cantante di quelle note che continuavo ad ascoltare.
Quei corpi senza anima continuavano il loro triste cammino senza una meta evidente, si limitavano a muoversi per inerzia, erano lenti, sembrava camminassero al rallentatore. Riuscivo a intravedere quei volti che non mi provocavano nessuna emozione, mancanza assoluta d’empatia, dolore e nostalgia, incredulità e consapevolezza della realtà che stavo vivendo, ricordo dei miei amici sbranati, bruciati, voglia di urlare e di ucciderli tutti, mancanza di pietà, tratti di nausea causata da odori che non sentivo realmente per la lontananza ma che si ricreavano nelle mie narici; odori di marcio, di sangue coagulato, di carne putrida, di terra e di fango, di pelle ammuffita. Vedevo e soffrivo in silenzio, corpi violacei pieni di croste, corpi deformi e lenti, ex persone che si credevano mostri a causa della loro follia, bambini senza innocenza, adolescenti senza spensieratezza, pezzi di carne umana che fuoriuscivano da bocche sporche, occhi senza vita, smartphone nelle loro mani, tristezza senza lacrime, vestiti sporchi e stracciati.
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L’ha ribloggato su Alessandria today.
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