Sei stato felice, Giovanni – Recensione

… La gente non può sopportare che tu sia felice di niente e nemmeno te lo perdona. Tu sei per la strada, la guardi e non la invidi affatto o solo un poco, e lei ti aspetta all’angolo, vi arrivi, tu non puoi difenderti perchè sei felice o lo sei stato fino a quel momento che lei non ti perdona e ti pesta …
basta smetto Autore: Giovanni Arpino
Pagine: 262
Anno: 2018 (1ª ed. originale del 1952)
Casa Editrice: Minimum Fax
ISBN: 978-88-7521-904-8
Disponibilità: Libro Cartaceo e Versione E-book
Dove acquistarlo: Minimum Fax

Sei stato felice, Giovanni è il libro d’esordio di Giovanni Arpino, pubblicato nel 1952 quando aveva solo 23 anni e ripubblicato di recente dalla Minimum Fax. La storia, fatta di tante micro storie e di aneddoti inizia con una futile rissa che spinge Giovanni, il protagonista, a rintanarsi impaurito nella sua camera d’albergo che riesce a pagare a fatica mentre aspetta che si calmino le acque. Nel frattempo la sua amica e a tratti amante Olga si prende cura di lui. Altri personaggi femminili che accompagnano Giovanni nel suo cammino in cui racconta la visione della propria felicità sono Adele, che come Olga si occupa con affetto sia di lui che dei suoi amici, Beppe e Mario, e Maria, coi cui vive una breve e idilliaca storia d’amore. Il cammino evolve partendo da quella fuga, passando per momenti di difficile sopravvivenza, mentre Giovanni descrive il cielo, le nuvole, le stelle, i colori di Genova dove è ambientata la storia, il tutto distorto dall’alcool, ma senza mai perdere la sua poesia.

Il libro all’inizio mi ha ricordato un po’ Camus, per le riflessioni e le emozioni vissute da Giovanni mentre si rifugia da quei loschi individui con cui s’imbattè in quella rissa iniziale da cui fuggiva per un pugno dato a difesa di Olga. Io avevo paura, certo, molta paura; dovevo aspettare che passasse. Aspettavo il momento in cui i muri, il lavandino con la crepa, il letto disfatto, il fumare su e giù per la camera, l’asciugamani sporco mi dessero la nausea, cacciassero la paura a forza di nausea.

Tuttavia Arpino in questo libro mi ha ricordato a tratti anche Bukowski. Tempo fa lessi un post sul realismo sporco su un blog di letteratura, genere che vide negli Stati Uniti, in Spagna e in America Latina i suoi esponenti più importanti, come lo stesso Bukowski -forse il più noto-, Carver o Gutiérrez ma che, secondo quel blog, non ha avuto nessun esponente di rilievo in Italia. Leggendo Arpino ho pensato a quel post e a come forse si sbagliava perché, a mio avviso, il minimalismo di quegli autori che narrano di reietti che raccontano la propria sopravvivenza con spensieratezza li ho ritrovati finalmente anche nella letteratura italiana. In questo libro gli emarginati raccontano la propria vita, come sopravvivono senza avere nessun interesse ad adattarsi a un mondo che non li accetta ma che comunque a loro neppure interessa, nutrendosi di gatti randagi e rane, lavorando per gente losca per pochi soldi utili a comprare il vino, o a mangiare nel ristorante dell’amico/nemico Antonio, o a pagare le camere d’albergo dove dormono di tanto in tanto. Giovanni è poi tormentato da conoscenti, amici e familiari che lo fissano nella sua mente, appollaiati sui mobili della sua camera d’albergo che paga a fatica, e che lo giudicano forse per invidia semplicemente perché, nonostante tutto, lui era felice mentre loro non lo erano.

Arpino ha uno stile che non lascia indifferente, provoca sensazioni olfattive che quasi si percepiscono realmente, l’odore di orina, la puzza di vomito, in una prosa ricca di frasi corte e potenti. Ma anche le descrizioni fisiche sono potenti e visuali, fanno apparire nella mente del lettore le figure che scorrono davanti alla vita di Giovanni. Era un enorme vecchio grasso con la pancia a pieghe una sull’altra e il doppio mento. Chiamava le donne urlando da sotto l’ombrellone e indicava le fave a mucchi sul banco.

È un libro che ho letto in versione digitale che mi permette di sottolineare e prendere facilmente appunti. In versione cartacea l’avrei letto con la matita in mano, per marcare i viaggi di Giovanni, che appendeva oggetti propri sui muri delle camere d’albergo dove alloggiava, come una carta da gioco o la sua carta d’identità, solo per personallizarle, mica per abbellirle. Arpino in questo libro ha uno stile nostalgico, crudo, empatico, diretto e, a modo suo, romantico. Le lisciavo il seno che era tenero e piacevole, lei teneva gli occhi chiusi, sentii di amarla, poi pensai che l’amavo e allora l’amai ancor di più ed era un amore veloce e furioso che mi correva per tutta la pelle. È un autore che ho scoperto da poco e di cui voglio leggere altro. Lui non era contento di questo libro d’esordio che per me è un piccolo capolavoro, considerato da tanti un classico della letteratura italiana. Sono quindi curioso di sapere cosa mi aspetterà con le prossime letture dei suoi libri.

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