Il Cardellino – Recensione

… Era l’immagine stessa del contegno, niente la scuoteva e niente la turbava, e anche se non era bella, la sua calma possedeva il magnetismo della bellezza, una staticità così potente che quando entrava in una stanza le molecole si riallineavano tutte intorno a lei.…
Autore: Donna Tartt
Pagine: 896
Anno: 2014
Casa Editrice: Rizzoli
Disponibilità: Libro cartaceo e versione digitale
Dove acquistarlo: Rizzoli

E siamo a tre. Mi spiego: ho sempre rispettato i romanzi vincitori di un Pulitzer, ho scritto persino un post raccontando perché tante volte in cui scelgo il prossimo libro da leggere opto per un romanzo vincitore del prestigioso premio. Ultimamente però la magia dei Pulizter si è inceppata dalle mie parti; ho difatti avuto qualche delusione, esattamente tre. Tuttavia, mentre considero Una banda di idioti e Less (ai quali ho dedicato delle mini recensioni) sopravvalutati per il Pulitzer ma tutto sommato godibili, Il Cardellino è stato, secondo i miei canoni di lettura, uno dei peggiori romanzi letti in vita mia, e in questo post vi racconto il perché.

Per poter descrivere in modo adeguato la frustrazione e la noia provate durante la lettura, mi soffermerò su aspetti chiave che considero di solito nelle mie recensioni: lo stile, i personaggi e la storia.

Stile: Il romanzo è zeppo di descrizioni tediose che non apportano nulla alla storia e distraggono dalla lettura. Ho trovato, tra le altre cose, un paio di pagine dedicate alla descrizione di due quadri di una camera d’albergo, liste chilometriche di mecidinali, particolari inutili di restauri di mobili, elenchi di programmi guardati in TV, titoli di libri della libreria di uno psicologo. Ma il tedio non è stato provocato solo dalle descrizioni. Il protagonista compiange costantemente la madre morta descrivendone i pregi e quanto gli manca: ebbene sí, era bella, buona e dolce, ma questo si può dire in un paio di frasi, non è necessario ripetere continuamente il dolore provocato per una perdita, altrimenti il dolore descritto sfocia nel patetico. Ho trovato anche rappresentazioni bislacche come una puzza di cappotti bagnati o un aspetto malmesso da orso elegante caduto in disgrazia. Ho pensato che fosse addirittura un problema di traduzione, ma ho letto la versione pubblicata da Rizzoli e dubito che una casa editrice così importante non abbia lavorato in modo efficiente su un Pulitzer. La lettura in fondo scorre, è un libro che si legge facilmente nonostante la mole, ma presenta uno stile freddo, piatto, che potrebbe essere di un autore di Best Seller qualsiasi. Leggere questo testo prolisso, noioso e fitto di parole sdolcinate è stato come mangiare sazio in un buffet dal cibo delizioso e troppo abbondante. Tutto è lungo e pesante, oltre alle descrizioni ci sono anche i dialoghi, gli aneddoti, le vite descritte di personaggi solo di passaggio, le lettere scritte, lasciate a metà e mai spedite. Verso la fine ci sono addirittura una decina di pagine inutili che descrivono un sogno del protagonista fatto di eroina che non apportano nulla alla storia e che non sono neppure interessanti. 

Personaggi: A parte il protagonista patetico che rimembra costantemente la madre morta, c’è il padre alcolizzato che riappare all’improvviso e che, insieme alla compagna cinica e superficiale, lo maltratta psicologicamente e fisicamente, incrementando la sfiga del personaggio principale creato per strappare più lacrime di dolce Remì e Marco de Dagli Appennini alle Ande messi insieme. C’è poi l’amico Boris, forse il personaggio più originale, una sorta di Pippi Calzelunghe di 15 anni giramondo e alcolizzato, di cui all’improvviso compare un padre altrettanto alcolizzato che di tanto in tanto lo pesta a sangue. Tra l’altro il protagonista per oltre metà libro è sempre fatto d’erba, o acidi, o exctasi, o eroina, o altri oppiacei, o cocaina, e si sfonda il fegato d’alcool insieme a Boris, ma è sempre lucido e pronto con la risposta giusta al momento giusto. Fa inoltre regolarmente sport e sta alla larga da altri tossici con cattive influenze, dagli zuccheri e dai cibi confezionati per stare in forma; è poi un eccellente lavoratore stacanovista ed è abile a rimorchiare ragazze al parco in trenta secondi. Insomma uno stile di vita tipico di un eroinome fattone e alcolizzato. 

Storia: Dietro centinaia di pagine che mi hanno provocato una noia profonda arricchita da personaggi con la simpatia di una zanzara che con il suo pungiglione mi tortura in un’arida notte d’estate, si nasconde una storia che definirei di spionaggio (forse) o magari d’avventura in cui il protagonista eroinomane/alcolizzato sfodera persino doti di avvocato e detective geniale, per cercare il quadro che dà il titolo all’opera. In realtà io della storia non sto raccontando nulla anche perché si può scoprire su Wikipedia, evitando il tedio appena descritto provocato dal testo. Difatti credo che la descrizione sull’enciclopedia libera delle vicende narrate nel libro abbia (non me ne vogliate) lo stesso stile piatto dell’autrice, o perlomeno di chi ha tradotto l’opera che ho letto.

Chiudo citando altri due particolari del romanzo che mi hanno innervosito: Bon Jovi viene descritto come un’esperienza musicale esilarante e la ragazzina di cui s’innamora il protagonista si chiama Pippa.

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17 commenti

  1. Ho letto questo libro diversi anni fa. L’inizio mi piacque molto, l’attentato al museo, il furto del quadro, e la figura dell’antiquario che si prende cura del protagonista. Poi la storia prende altre direzioni, tanto che mi diede l’impressione di essere un collage di romanzi diversi cuciti insieme. Ci sono parti inconcludenti e una notevole prolissità, però tutto sommato l’avevo letto volentieri. Tra i romanzi della Tartt, considerati a torto grandi capolavori, questo secondo me è il migliore.

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